Donna tartaruga con scarabeo
- Autore
- Novello Finotti
- Data
- 1985-86
- Tecnica e supporto
- Marmo nero del Belgio
- Dimensioni
- 31 x 68 42 cm
- Collezione
- Galleria Crédit Agricole - Refettorio delle Stelline
- Ubicazione
- Milano
Novello Finotti nasce a Verona nel 1939. Frequenta l'Accademia Cignaroli ed inizia ad esporre nel 1958 grazie ad un premio acquisto alla Mostra di Arte Sacra di Assisi. Nel 1964 espone a New York con una personale alla Armony Gallery. Nel 1966 partecipa su invito, con un gruppo di opere, alla XXXIII Biennale Internazionale d’Arte di Venezia e nel 1972 espone con una personale alla galleria di Alexander Iolas a Milano.
L’incontro con Iolas si rivela decisivo per la sua carriera: avviene tutto nella fonderia dove Novello, che non possiede ancora un atelier, sta lavorando. Iolas invece è lì per seguire la fusione di un bronzo di Max Ernst, “La plus belle”, e attacca bottone con il giovane scultore: dopo alcuni giorni gli propone una mostra a New York, a Park Avenue. Finotti deve a Iolas l’incontro con tutti i grandi protagonisti del secondo surrealismo internazionale, una sorta di degenerazione commerciale dell’avanguardia fondata da Breton nel 1924 a Parigi, che pure contava tra le sue fila alcuni dei “grandi vecchi” (come Max Ernst) e dei giovani molto promettenti, tra cui appunto Finotti. La sua abilità nel modellato e la perizia tecnica sono davvero notevoli, tanto che pure Sebastian Matta viene apposta a Verona per fondere le sue opere insieme a lui.
Focus opera
Il bozzetto dal quale nasce la “Donna tartaruga”, in marmo nero del Belgio (ma che conta anche numerose altre derivazioni in bronzo e marmo) risale al 1983: il tema delle metamorfosi, caro agli antichi, è alla base di questo lavoro. Finotti è stato sempre affascinato dal processo trasmutativo, infatti molte sue opere nascono dalla fusione di corpi di esseri differenti: ma non si tratta di una deformazione, bensì di un assemblaggio. L’opera rappresenta un carapace reclinato, dal quale fuoriescono quattro piedi femminili. Secondo lo stesso Finotti, si tratta dell’immagine, da lui sognata, di una madre che gioca con suo piccolo, invisibile, perché protetto dalla corazza materna. Giorgio Da Genova, a questo proposito, afferma: «Finotti è maestro delle traslazioni morfologiche e nozionali, che certo hanno, come il sogno, la loro sorgente nell’inconscio, con le cui pulsioni egli è in perfetta sintonia sia con la sua mente che con le sue “mains libres” che sanno trasferire nelle forme plastiche ciò che quella ad esse suggerisce. Come avviene nei sogni, egli sa cogliere le più riposte associazione che non di rado si susseguono senza continuità di soluzione. Il discorso plastico di Finotti si sviluppa sulle direttrici della contiguità e della similarità, anche quando le associazioni sembrano contraddittorie, per i continui trapassi dalla metafora alle metonimie, come perle della collana dei ricordi, intuizione e associazioni, per caricare di maggiori valenze simboliche le sue opere. Ma nei prodotti del suo metamorfismo si può sempre sceverare ciò che è visto con gli occhi fisici da ciò che è visto con gli occhi interiori».