Colonna del Piccolo Coro

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Autore
Mario Negri
Data
1960
Tecnica e supporto
Bronzo
Dimensioni
62 x 36 x 36
Collezione
Galleria Crédit Agricole - Refettorio delle Stelline
Ubicazione
Milano


«Vorrei almeno che\come unica voce in attiva del mio lavorare\ci fosse un’equivalenza non fortuita ma profonda\tra lo spirito che lo ha animato e la natura\il sentimento del luogo ove son nato». Così lo scultore di origine valtellinese Mario Negri ricordava brevemente il nesso profondo tra la propria produzione artistica e l’ambiente naturale e culturale della sua terra d’origine.
Il suo itinerario esistenziale e artistico, tanto simile a quello del collega e amico Alberto Giacometti, lo aveva condotto dalla valle alla metropoli (se Milano così può essere definita), conseguendo all’Accademia Brera il diploma di maturità artistica e frequentando la facoltà di Architettura presso Politecnico. Chiamato alle armi nel 1940 e deportato dopo l’armistizio nei campi di prigionia tedeschi e polacchi dove, «un po’ scrittore di cose d’arte e un po’ architetto, ma molto di più scultore, senza aver mai toccato pietra, legno o fuso metallo per le sue figure» immaginava e raccontava all’amico Giuseppe Bortoluzzi della propria aspirazione a scolpire e modellare la materia.
Nel 1946 iniziava da autodidatta un lungo periodo di lavoro che, volutamente, considerava di severo tirocinio professionale, svolgendolo soprattutto presso le botteghe artigiane milanesi, persuaso che solo una solida conoscenza del mestiere fosse la base imprescindibile del lavoro d’artista. I riconoscimenti e le commissioni non tardano ad arrivare, e nel 1957 Negri esordiva con la sua prima personale presso la Galleria Il Milione a Milano. Sono questi gli anni più fertili per l’artista, sia dal punto di vista culturale che personale: il sodalizio con Serafino Corbetta, Cesare Gnudi, Franco Russoli, Lamberto Vitali e Marco Valsecchi; infine la preziosa amicizia con Alberto Giacometti. «C’è stato un tempo – ricordava Negri a proposito di quel periodo – in cui Alberto Giacometti “milanese” è stato solo mio, poi se ne sono impadroniti tutti, quei tutti che ora se lo sono già dimenticato (…) Nessuno per molto tempo volle conoscerlo e nemmeno sapeva o quasi chi era. Per me era l’uomo più vero e l’artista più autentico che avessi mai incontrato in tutta la mia vita».

Focus opera

La poetica di Mario Negri sembra oscillare costantemente tra due tendenze opposte eppure infine convergenti: da un lato l’inesausta ricerca formale e aggiornatissima sugli ultimi esiti della scultura a livello internazionale – come dimostra questa Colonna del Piccolo Coro – dall’altro il tenace richiamo delle origini, nel tentativo «di riconquistare il tempo, cercare di risalire a un passato senza memoria». Negri stesso si domandava, osservando le sue colonne e le sue steli se «per una misteriosa ascendenza ancestrale queste non discendano forse dalle pertiche longobarde, le lunghe lance sormontate da una colomba che segnavano il luogo in cui un guerriero era caduto combattendo?». L’amore per la scultura antica e moderna – e i suoi taccuini sono pieni dei nomi di Giovanni Pisano, Bonanno, Antelami, Tino di Camaino, Bonino da Campione; ma pure di Modigliani e Martini, di Maillol, Brancusi e Medardo Rosso – lo hanno condotto a lavorare su masse scultoree eloquenti, spoglie, e densamente espressive, come nel biblico Davide Re, dove la tradizione antelamica accoglie, con la dovuta severità, suggestioni plastiche decisamente attuali. Allo stesso tempo egli si sentiva assolutamente contemporaneo, tanto da lamentare le qualità meramente estetiche di un certo tipo di scultura, avulsa completamente dal bisogno sociale, al quale invece a suo giudizio lo scultore dovrebbe essere chiamato a rispondere attraverso interventi mirati sul paesaggio, urbano e naturale. 
Annota con intelligenza a questo proposito il pittore Enrico Della Torre, suo intimo amico, come l’arte plastica di Mario Negri mostrasse delle forti tangenze con l’architettura: «la sua scultura è architettura, è piena, è fatta di forme, è fondata sulla tradizione. E’ il contrario della scultura esistenziale moderna fatta di vuoti e labirinti come quella di Calder o di Martini».