Cime Innevate (Ghiacciaio di Fellaria Orientale)

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Autore
Emilio Longoni
Data
Ante 1905
Tecnica e supporto
Olio su tela
Dimensioni
17 x 39,3 cm
Collezione
Galleria Crédit Agricole - Refettorio delle Stelline
Ubicazione
Sondrio

Questa tavoletta di piccolo formato identificata col titolo, probabilmente attribuito in ambito commerciale, di Cime innevate, entrava in collezione nel 2017 in seguito ad acquisto in asta. La caratteristica firma di Longoni è chiaramente visibile in basso a destra. 
Come suggerito da Giovanna Ginex, il riferimento più prossimo all’opera in questione è da identificarsi con la grande tela Ghiacciaio, presentata da Longoni nel 1906 all’Esposizione del Sempione, che gli valse il Premio Principe Umberto, onorificenza peraltro da lui clamorosamente rifiutata. Questo vasto dipinto, inizialmente quasi ignorato dalla critica e dall’editoria di settore, venne col tempo notato e apprezzato da numerosi alpinisti, cultori della montagna e anche artisti, tra cui Carlo Carrà, per la sua resa scenografica e la fedeltà al dato reale. Longoni, dopo la morte di Segantini, aveva infatti iniziato un cauto processo di emancipazione dai modi simbolisti che risultano ancora presenti, impliciti o dichiarati, in opere di poco precedenti quali La pianta (1900-1903) e La voce del ruscello (1904).

Focus opera

Il ghiacciaio riprodotto nella grande tela presentata da Longoni all’Esposizione del Sempione – tradizionalmente identificato col Cambrena – è più probabilmente quello di Fellaria orientale, verso il Passo Gembrè, pure collocato nel medesimo massiccio a poca distanza. È noto come questo pittore-alpinista si recasse in quota per dipingere le sue vedute, soggiornando anche per lunghi mesi in alta montagna, nel comprensorio del Bernina, e pernottando in una sorta di padiglione in legno smontabile. L’artista riportava da tali soggiorni degli studi dal vero che rielaborava una volta tornato in città, scegliendo con cura l'inquadratura migliore e prediligendo per la stesura finale dell'opera il grande formato. L’orizzonte del Ghiacciaio, restituendo un profilo orografico esatto del Piz Varuna a destra e dei Sassi Rossi a sinistra, si giustappone ad un primo piano dai caratteri monumentali, che riproduce in maniera molto convincente il fronte del ghiacciaio che pare incombere sull’osservatore.
La tavoletta dalla quale discende la tela è appunto questo: un rarissimo o forse addirittura l’unico esemplare sopravvissuto di studio pittorico preso in alta montagna. Longoni infatti non riteneva la fotografia un valido ausilio per fissare il soggetto pittorico, poiché non permetteva di catturare le vibrazioni atmosferiche e cromatiche della luce: con lo zaino in spalla carico di tavolette di legno e colori ad olio, usava percorrere le vie in quota meno battute di Valtellina, Valchiavenna, Val Poschiavo ed Engadina. A proposito del mezzo fotografico, è proprio il confronto tra questa piccola opera su legno e uno scatto del 1907 realizzato dal naturalista valtellinese Alfredo Corti che denuncia il notevole arretramento del fronte glaciale intervenuto nel secolo scorso, che ha notevolmente modificato il quadro paesaggistico, rendendo non immediata la georeferenziazione del soggetto dipinto da Longoni. Basti rammentare che quando fu dipinto, al termine di quella che i glaciologhi definiscono come “piccola era glaciale”, il ghiacciaio di Fellaria Orientale presentava un imponente sviluppo vallivo che lo portava a confluire con quello di Fellaria Occidentale in un unico vasto apparato. Oggi i fronti delle due lingue glaciali distano tra di loro oltre 3 Km; inoltre lo stesso ghiacciaio raffigurato da Longoni è separato da un alto risalto roccioso in due distinti tronconi, il più basso dei quali, alimentato soltanto dalla caduta di seracchi dal troncone superiore, termina in un ampio lago di fusione collocato nella conca un tempo occupata dal ghiacciaio.