Salita al Calvario: Gesù asciugato dalla Veronica

Salita al Calvario: Gesù asciugato dalla Veronica | Crédit AgricoleSalita al Calvario: Gesù asciugato dalla Veronica | Crédit AgricoleSalita al Calvario: Gesù asciugato dalla Veronica | Crédit Agricole
Autore
Il Candido (Pieter de Witte detto) (attr.)
Data
Fine XVI secolo
Tecnica e supporto
Olio su tela
Dimensioni
79 x 77,5 cm
Collezione
Creval
Ubicazione
Sondrio

Questa preziosa tela, di piccole dimensioni, proviene dall’eredità Sertoli Da Ponte e rappresenta tutt’oggi un rebus attributivo, tanto in virtù delle singolarità stilistiche quanto per il contesto culturale d’appartenenza. Entrato in Collezione nella seconda metà degli anni Ottanta, il dipinto era accompagnato da un sintetico parere di Luciano Anelli nel quale veniva dato, congetturalmente, a Pieter de Witte (Pietro il Candido), in virtù di alcune aderenze stilistiche e della provenienza dell’opera.

Ancora, in occasione della mostra Ottavio Amigoni presso il Museo Diocesano di Brescia (4 febbraio-25 marzo 2012), il dipinto è stato invece attribuito da Daphne Agazzani e Chiara Zanola al maestro bresciano. Prodotta, secondo Anelli, contestualmente al soggiorno bresciano del pittore, impegnato nel 1596 nella grande Annunciazione dell’altare maggiore per la chiesa di S. Maria del Carmine, quest’opera sarebbe da ricondurre al corpus autografo di Pieter de Witte, artista fiammingo che visse per un periodo della sua vita in Italia (a questo soggiorno dovette la versione italianizzata del proprio nome, Pietro il Candido).

La grande pala bresciana dell’Annunciazione non pare però manifestare grandi punti di contatto con questa Salita al Calvario: al contrario, un’altra opera del Candido offre spunti sicuramente più convincenti per un’eventuale attribuzione in favore dell’artista fiammingo, nella fattispecie il Compianto della Pinacoteca Civica di Volterra, realizzato prima del 1586. Nonostante le grandi differenze di impianto compositivo, entrambe le scene sacre vengono concluse all’orizzonte dal Golgota e da un profilo turrito di città, in entrambi casi qualificato da imponente bastione circolare che ricorda il Mausoleo di Adriano a Roma. Le analisi riflettografiche hanno rivelato come nel dipinto di Volterra i gruppi di figurine sul Golgota siano stati delineati di getto a velatura, senza disegno preparatorio, così come appaiono anche nella Salita, confermando l’impressione che il piccolo dipinto non fosse stato completamente terminato. La stesura magra e “scarica” a livello cromatico che generalmente caratterizza la tela potrebbe confermare questa ipotesi. Le preziosità cromatiche e i cangiatismi acidi dedotti dalla prima maniera fiorentina, tanto utilizzati dal Candido, risultano qui assenti, in favore di una stesura parsimoniosa che si attesta sui toni dell’ocra, del rosa antico, dell’olivastro e del blu notte: solo alcune lumeggiature - date a colpo di pennello – irrorano i particolari anatomici, le panneggiature e alcuni particolari architettonici. Ma ciò che permette di tracciare un parallelismo certo tra le due opere è costituito dall’inserimento, in entrambe, di un motivo compositivo identico, ovvero il muto dialogo – fatto di sguardi – tra un vecchio barbuto con turbante e alamari, ed un arciere visto di spalle, sempre con il turbante (in primo piano a destra in questo dipinto, in secondo piano sulla sinistra nel Compianto).

La scelta iconografica di questa Salita al Calvario risulta decisamente desueta: il tema della “Veronica” non è usuale nel sud delle Alpi, anche se le vallate prealpine si sono spesso rivelate permeabili ad influssi nordici, basti pensare all’opera del Lotto e del Romanino. Certamente quest’opera, anche nella narrazione, riprende le prospettive compresse e verticali del manierismo fiorentino, pur ignorando il disegno ampio e disteso tipico degli italiani. Il dipinto è pervaso invece da inquietudini nordiche; drappi e bandiere battute dal vento, un Golgota allucinante nella sua forma a testa di pachiderma, l’occhio lucido e dilatato del cavallo bianco che fissa l’osservatore, trascinandolo nel vortice del dramma.