Giudizio Universale
- Autore
- Grazio Cossali
- Data
- 1580 circa
- Tecnica e supporto
- Olio su tela
- Dimensioni
- 163 x 138,5 cm
- Collezione
- Creval
- Ubicazione
- Sondrio
L’onda lunga della fortuna riscossa dal Giudizio Universale affrescato da Michelangelo Buonarroti nella Cappella Sistina tra il 1536 e il 1541 trova una preziosa testimonianza nella copia su tela delle Collezioni d’Arte Crédit Agricole Italia. Nulla è dato sapere circa la storia antica dell’opera, se non che in epoca ottocentesca facesse parte della quadreria del nobile bresciano Pietro Da Ponte (1833 - 1918), dalla quale, una volta passata agli eredi Sertoli-Da Ponte, entrò nelle collezioni della Banca nel 1983.
Il dipinto presenta un'antica scritta vergata nell’estremità superiore destra riportante il nome “campi”, ma chiaramente apocrifa. L’eccessiva considerazione assegnata a tale iscrizione costituisce uno dei motivi, se non il principale, che in precedenza ha indotto la critica a ricondurre la paternità del quadro alla bottega del pittore cremonese Giulio Campi.
Nell’opinione di Luciano Anelli la composizione sarebbe da far risalire a un presunto disegno abbozzato da Giulio o Antonio Campi in occasione del viaggio che i due fratelli avrebbero svolto a Roma alla metà del XVI secolo. Tuttavia, da una recente analisi dell’opera è stato possibile stabilire come il dipinto non dipenda da un disegno tratto in presa diretta dal murale michelangiolesco, bensì da un’incisione a bulino di Niccolò della Casa, ultimata verso il 1562, data che va riconosciuta come sicuro termine post quem per l’esecuzione di questo Giudizio. L’individuazione della fonte a stampa ha imposto di rivedere la precedente attribuzione dell’opera.
Focus sull'opera
Secondo Francesco Ceretti «il quadro è prova di una cultura stilistica complessa e differenziata che ha saputo accordare a quella sclerotizzata onda lunga del Moretto, filtrata attraverso le fisionomie feline e ritagliate di Luca Mombello, una condotta d’impronta campesca, dove l’elegante plasticismo di Antonio Campi, portato ai suoi eccessi, appare quasi disarticolato, venendo solo in parte stemperato dall’eloquio nobilitante d’inclinazione parmigiana di Bernardino. I dati dello stile e le scelte compositive radicati su dei modi profondamente manieristi» hanno portato lo studioso «a circoscrivere l’ambito della ricerca in un campo tracciato tra Brescia e Cremona, spingendo verso il nome di Grazio Cossali, tra i più prolifici esponenti del Manierismo lombardo. Originario di Orzinuovi, terra di confine tra i domini della Terraferma Veneta e il Ducato di Milano, la maniera di Cossali, pittore solito a servirsi di modelli incisori, riflette questa sua condizione di frontaliere. La sua locale memoria morettesca si mescola e si rinnova alla luce della opposta tradizione campesca, conosciuta soprattutto per via indiretta nelle testimonianze lasciate nel bresciano da Lattanzio Gambara, allievo di Giulio Campi, quindi direttamente dalla serie di teleri che Giulio eseguì in collaborazione con il fratello Antonio tra la fine del sesto e l’inizio del settimo decennio del Cinquecento per il salone della Loggia di Brescia».