Economia

Il Gruppo Cariparma Crédit Agricole lancia Orizzonte Carni

Il Gruppo Cariparma Crédit Agricole lancia Orizzonte Carni

Valorizzare le filiere agroalimentari creando un approccio diversificato anche nei servizi bancari in funzione del settore. La Direzione Agroalimentare del Gruppo Cariparma Crédit Agricole procede spedita nel suo progetto e, a soli 3 mesi dal lancio di Orizzonte Vino, pacchetto di soluzioni specifiche per le aziende che operano nel comparto, propone oggi al mercato Orizzonte Carni, un modello di servizio dedicato, rivolto agli operatori della filiera. Anche in questo caso l'offerta non si ferma a prodotti e servizi specifici ma prevede un iter accelerato del credito e una consulenza ad hoc grazie ad appositi percorsi formativi destinati ai dipendenti che offrono consulenza finanziaria alle aziende. La filiera delle carni e dei derivati, se considerata nel complesso dei suoi diversi segmenti produttivi rappresenta il principale comparto dell'agroalimentare italiano, con un ruolo significativo sia a livello agricolo (con oltre 217.400 imprese zootecniche, comprensive di quelle da latte), sia a livello industriale con la produzione di carni e frattaglie, salumi e altri derivati. Come già fatto in occasione del lancio di Orizzonte Vino, anche in questo caso il Gruppo Cariparma Crédit Agricole, prima di lanciare il nuovo pacchetto ha voluto approfondire le caratteristiche del settore, esplorandone dinamiche ed esigenze. Un'attività propedeutica, realizzata a monte del processo di costruzione dei singoli prodotti e servizi, che si è avvalsa del contributo dell’Osservatorio Agroalimentare di Nomisma. I dati estrapolati per conto del Gruppo Cariparma Crédit Agricole confermano che la rilevanza della filiera italiana è significativa soprattutto per la fase di seconda trasformazione e lavorazione delle carni (in particolare suine) che costituisce un segmento tipico del Made in italy: in termini di commercio estero, il 14% dell'export europeo di salumi è infatti imputabile all’Italia (957 milioni il valore dell’export italiano di salumi). Emilia Romagna, Lombardia e Veneto esprimono quasi l'80% dell’export italiano materia del settore. In particolare, solo all'Emilia Romagna è riconducibile il 44% dell'export di carni e derivati.

 

Escludendo i salumi, unici prodotti a registrare un saldo import/export positivo, la filiera delle carni presenta una propensione ad esportare inferiore rispetto a quanto avviene per l'alimentare nel suo insieme: nonostante nell’ultimo decennio la tendenza ad affrontare nuovi mercati sia più che raddoppiata, la bilancia commerciale del nostro Paese per questo settore resta negativa per 4 miliardi di euro. Il sistema produttivo del comparto (agricolo e industriale) è molto ampio e si presenta con un livello di integrazione abbastanza elevato, specie nelle quattro regioni settentrionali del Paese - Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto - dove, del resto, si concentra il più alto numero di capi allevati (65% del patrimonio zootecnico). Le strutture produttive localizzate in questi territori sono caratterizzate da grandi dimensioni, allevamenti di tipo intensivo, elevati investimenti in strutture, impiego di manodopera specializzata e standardizzazione del processo produttivo. Intorno alla filiera si è sviluppato un importante ed articolato circuito economico che ha aiutato lo sviluppo del territorio. Nelle regioni centro-meridionali, invece, la struttura produttiva si articola in un elevato numero di PMI dove gli allevamenti sono di tipo estensivo e con cicli di produzione più lunghi. Dobbiamo però rilevare un fenomeno che, tra il 2000 e il 2010, ha interessato tutte le regioni italiane: una profonda riconfigurazione strutturale del comparto zootecnico ha condotto alla concentrazione dei capi in un numero minore di realtà aziendali e dunque alla crescita delle dimensioni medie con la conseguente opportunità di sfruttare economie di scala incrementando produttività e redditi mediante la riduzione dei costi di produzione. Questo ha favorito sia la specializzazione produttiva, sia una maggior integrazione con gli altri attori della filiera. Escludendo i salumi, unici prodotti a registrare un saldo import/export positivo, la filiera delle carni presenta una propensione ad esportare inferiore rispetto a quanto avviene per l'alimentare nel suo insieme: nonostante nell’ultimo decennio la tendenza ad affrontare nuovi mercati sia più che raddoppiata, la bilancia commerciale del nostro Paese per questo settore resta negativa per 4 miliardi di euro. Il sistema produttivo del comparto (agricolo e industriale) è molto ampio e si presenta con un livello di integrazione abbastanza elevato, specie nelle quattro regioni settentrionali del Paese - Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto - dove, del resto, si concentra il più alto numero di capi allevati (65% del patrimonio zootecnico).

 

Le strutture produttive localizzate in questi territori sono caratterizzate da grandi dimensioni, allevamenti di tipo intensivo, elevati investimenti in strutture, impiego di manodopera specializzata e standardizzazione del processo produttivo. Intorno alla filiera si è sviluppato un importante ed articolato circuito economico che ha aiutato lo sviluppo del territorio. Nelle regioni centro-meridionali, invece, la struttura produttiva si articola in un elevato numero di PMI dove gli allevamenti sono di tipo estensivo e con cicli di produzione più lunghi. Dobbiamo però rilevare un fenomeno che, tra il 2000 e il 2010, ha interessato tutte le regioni italiane: una profonda riconfigurazione strutturale del comparto zootecnico ha condotto alla concentrazione dei capi in un numero minore di realtà aziendali e dunque alla crescita delle dimensioni medie con la conseguente opportunità di sfruttare economie di scala incrementando produttività e redditi mediante la riduzione dei costi di produzione. Questo ha favorito sia la specializzazione produttiva, sia una maggior integrazione con gli altri attori della filiera.