Dazi e non solo: cos’è successo sui mercati nel 2019?
Dazi, Stati Uniti contro Europa
Le tensioni commerciali non hanno ignorato l’Europa. Il clou, su questo versante, è stato raggiunto a ottobre. Il 18, per la precisione: in quel giorno, alle 6:01 ora italiana, sono entrati in vigore i dazi USA su 7,5 miliardi di euro di merci europee, autorizzati in sede WTO (World Trade Organization) a titolo di “risarcimento” per gli aiuti di Stato al costruttore di aeromobili Airbus. Tra i Paesi colpiti c’è anche l’Italia, seppure non coinvolta nel consorzio Airbus: in particolare, prodotti come pecorino e parmigiano negli Stati Uniti saranno venduti a un prezzo decisamente maggiorato. Ma l’Europa potrebbe avere il suo momento quando la WTO si esprimerà sui presunti aiuti di Stato USA alla società Boeing.
Lo scacchiere della politica
La politica è stata protagonista e market mover – in grado cioè di influire sui movimenti di mercato – anche quest’anno. A Londra abbiamo assistito non a uno ma a ben tre rinvii della Brexit, il cui termine è attualmente fissato al 31 gennaio 2020. In Italia una crisi di governo agostana ha messo fine all’esperienza giallo-verde e dato vita a un nuovo esecutivo 5Stelle-centrosinistra, presieduto sempre da Giuseppe Conte.
Le tendenze nettamente più europeiste della nuova formazione sono piaciute agli investitori, almeno a giudicare dallo spread: la differenza di rendimento tra BTP e Bund a 10 anni è significativamente scesa, salvo poi iniziare una risalita a novembre, nel pieno della crisi ex Ilva e in scia alle sue implicazioni sulla tenuta del governo. Ultimo, ma non per importanza: le elezioni europee. Bene le nuove sigle politiche, non tutte di matrice anti-europeista, a discapito dei partiti storici. Sullo sfondo, una crescita economica che langue: nel terzo trimestre l’area euro ha registrato un +0,2%, come tra aprile e giugno. Italia e Germania fanalini di coda.
La BCE riscopre il Quantitative Easing
Con questo quadro di fronte, la Banca Centrale Europea ha rilanciato le TLTRO (operazioni mirate di rifinanziamento a lungo termine alle banche), con lo scopo di far arrivare credito a imprese e famiglie, e il Quantitative Easing, ripartito il primo novembre con acquisti per 20 miliardi di euro al mese. Non solo: ha anche tagliato i tassi sui depositi di 10 punti base, al -0,50%. A questo punto – ha detto l’ex presidente Mario Draghi, che a fine ottobre ha ceduto il testimone a Christine Lagarde – tocca ai governi, che dovranno supportare la ripresa con politiche fiscali adeguate.
Ha optato per una riduzione dei tassi anche la Fed, seppure con maggiore cautela rispetto alla BCE e ad altre banche centrali. E infatti il presidente USA Donald Trump non ha lesinato critiche, talvolta anche molto aspre. Lato mercati, lo spostamento delle banche centrali su posizioni più accomodanti ha provocato una discesa dei rendimenti obbligazionari. Sul Vecchio Continente sono andati sotto zero quelli dei titoli decennali di Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Olanda, Svezia e Svizzera. Ne ha approfittato la Grecia, tornata competitiva rispetto a Paesi come l’Italia.
L’incognita impeachment e le presidenziali
L’incognita impeachment e le presidenziali Il 2019 è stato anche l’anno in cui, dopo circa vent’anni, negli Stati Uniti si è tornati a parlare di impeachment. Il 24 settembre la speaker della Camera Nancy Pelosi ha annunciato l’avvio delle indagini a carico del presidente Trump. Motivo, la richiesta che Trump avrebbe fatto al presidente ucraino Volodymyr Zelensky in una telefonata del 25 luglio: investigare sul figlio di Joe Biden, ex vicepresidente democratico e suo possibile sfidante alle presidenziali 2020, in cambio dello sblocco di 400 milioni di dollari per aiuti militari. Il 31 ottobre la Camera ha dato il via libera definitivo alla procedura che si è conclusa con l’approvazione di entrambi i capi di accusa (abuso di potere e intralcio alle indagini).
Formalizzato lo stato di accusa del Presidente, ora la decisione finale spetta al Senato, dove è prevista un’assoluzione di Trump, data la maggioranza repubblicana. Come finirà lo sapremo in pieno 2020, l’anno appunto delle presidenziali. Tra i democratici, la persona che, secondo molti osservatori, ha più chance di battere Trump è proprio Biden. Alle primarie si sfideranno anche Elizabeth Warren e Bernie Sanders, che però appaiono indietro nei sondaggi rispetto al presidente in carica.
Da seguire anche la campagna di Michael Bloomberg, ex sindaco di New York. Tanti fili da tenere insieme, senza considerare tutto il capitolo geopolitica e materie prime (petrolio in testa), che porta incertezza sui mercati e quindi volatilità.
Nel 2019, quasi tutto l’azionario è riuscito a recuperare le perdite registrate nel 2018. E parte del merito va – ancora una volta – alle banche centrali e al loro atteggiamento accomodante a supporto dell’economia. Un’economia che, va detto, fatica a camminare sulle sue gambe. Vale la pena, in prossimità della fine dell’anno, di fare un punto della situazione.
Ritmo di crescita? In rallentamento
Nel suo World Economic Outlook di ottobre, il Fondo Monetario Internazionale ha fatto sapere che quest’anno la variazione del Prodotto Interno Lordo globale sarà del 3%, la più bassa dal 2008-2009. Tra i vari fattori, incidono naturalmente le tensioni commerciali. In particolare, quelle tra Stati Uniti e Cina. Il 2019, su questo fronte, ha portato finora solo un alternarsi di promesse di un accordo “sempre più vicino” e offensive da ambo le parti.
Metà novembre avrebbe potuto aggiungere qualche significativa novità, con la firma del cosiddetto accordo di “fase 1”, ma i disordini interni in Cile, che avrebbe dovuto ospitare il vertice, hanno fatto sfumare il progetto. Dunque, nulla di fatto. Intanto, dal punto di vista macroeconomico, tra luglio e settembre la crescita del PIL cinese si è attestata al +6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: un dato così basso non si vedeva dal 1992. Da parte delle autorità, massimo impegno a sostegno dell’economia.