Endowment effect: il senso del possesso alla riscossa
Quanto saresti disposto a pagare per comprare una scatola di cioccolatini? E quanto vorresti ricevere, invece, per separarti da quella stessa confezione? Con ogni probabilità, a dispetto di quanto verrebbe da aspettarsi razionalmente, le risposte a queste due domande non coinciderebbero. Il motivo? Si chiama endowment effect, o effetto dotazione.
Un po’ di finanza comportamentale
Ebbene sì, ci stiamo addentrando ancora una volta nella fitta giungla della finanza comportamentale, quella branca della finanza che va a sondare la mente umana per cercare di capire in che modo e perché le nostre emozioni interferiscano così pesantemente nelle nostre scelte finanziarie.
Sì, perché il tema dei risparmi attiva in ciascuno di noi mille sfaccettature di tipo emotivo, il che ci porta naturalmente a prendere decisioni “di pancia” che hanno ben poco a che fare con quell’Homo Oeconomicus perfettamente razionale vagheggiato dalla teoria economica classica.
Se è già mio, vale sicuramente di più
Tra le varie scorciatoie mentali e distorsioni cognitive che guidano il nostro agire, l’effetto endowment ci spinge ad attribuire un valore molto più alto a qualcosa che già possediamo, rispetto a quel che saremmo disposti a pagare per acquistarlo.
In altre parole: la somma di denaro che desideriamo per vendere un bene tende a essere più alta rispetto alla somma di denaro che siamo disposti a pagare per acquistare lo stesso bene.
E non stiamo parlando del valore affettivo che si può arrivare a provare nei confronti di un oggetto qualsiasi. No, qui si tratta proprio di senso della perdita percepito nel privarsi di qualcosa che si era convinti ormai di possedere.
Per capire meglio come funziona questo particolare bias comportamentale, andiamo a vedere un esempio concreto. Anzi, un vero e proprio esperimento condotto nel 1991 dagli studiosi Daniel Kahneman, Jack L. Knetsch e Richard H. Thaler. Esula un po’ dal mondo finanziario, ma è comunque estremamente significativo.
Quanto mi dai per questa tazza?
In questo esperimento, ai partecipanti sono state mostrate alcune tazze da caffè, tutte uguali. Poi i soggetti sono stati suddivisi in due gruppi e a tutti i componenti di un gruppo (scelto a caso) è stata regalata una tazza. A questo punto, tutti quelli che avevano ricevuto la tazza sono stati chiamati a indicare la cifra minima a cui si sentivano disposti a venderla, mentre a tutti coloro che non avevano ricevuto la tazza è stato chiesto di indicare la cifra massima che sarebbero stati disposti a pagare per averla.
Teoricamente, le due cifre avrebbero più o meno dovuto convergere: le tazze erano tutte identiche e chi ne possedeva una non aveva dovuto pagare nulla né lavorare per ottenerla – e non aveva nemmeno avuto il tempo di affezionarsi. Invece, in media è risultato che la “disponibilità ad accettare” (“willingness to accept”) era tra le 1,5 e le 2 volte più alta della “disponibilità a pagare” (“willingness to pay”).
Questo succede perché, nel momento in cui una persona riceve qualcosa (nel nostro caso, una tazza), pensa che sia sua, che se la porterà a casa. E quindi all’idea di separarsene avverte un senso di perdita. Che tendenzialmente è più forte del senso di appagamento che proverebbe acquistando una tazza nuova. Ecco perché tenderà a chiedere un prezzo molto alto: è la cifra necessaria a “compensare” la perdita.
Come si applica tutto ciò agli investimenti?
Abbiamo capito come funziona l’effetto endowment, ma cosa c’entra con il mondo degli investimenti? Supponiamo di avere in portafoglio un titolo – diciamo un’azione, per semplicità. E supponiamo che la società che l’ha emessa incappi in una serie di problemi e/o perda la solidità che aveva un tempo. Sul mercato, l’azione perderà terreno. E l’investitore che l’ha in portafoglio penserà: ecco, sarebbe il caso di vendere. Ma a causa dell’endowment effect, il prezzo di mercato gli sembrerà sempre troppo basso e ci metterà un bel po’ per accettare di separarsi dal “suo” titolo “per così poco”.
Insomma, l’effetto dotazione ostacola la corretta valutazione dei prezzi, il che è sicuramente un problema. Essere consapevoli dell’esistenza di questo bias è importante per riconoscerlo, quando tenta di entrare in azione. Ma potrebbe non bastare per riuscire a fermarlo.
Meglio affidarsi a un professionista esperto, che riesca a guidarvi in un percorso decisionale più consapevole. E che vi risparmi innanzitutto l’errore di fuggire di fronte ai cali, e a seguire la distorsione di credere che un prezzo sia troppo alto (se dobbiamo comprarlo) o troppo basso (se dobbiamo venderlo), con tutte le scelte sbagliate che possono conseguirne.